PIAZZA VIGLIENA (4 CANTI)
Il nome esatto della piazza è Piazza Villena (in omaggio al Viceré il cui nome completo era marchese don Juan Fernandez Pacheco de Villena y Ascalon), ma le fonti antiche la ricordano come Ottangolo o Teatro del Sole perché durante le ore del giorno almeno una delle quinte architettoniche è illuminata dal sole.
I Quattro Canti propriamente detti sono i quattro apparati decorativi che delimitano lo spazio dell'incrocio. Realizzati tra il 1609 e il 1620[3] e sormontati dagli stemmi (in marmo bianco) reale senatorio e viceregio, i quattro prospetti presentano un'articolazione su più livelli, con una decorazione basata sull'uso degli ordini architettonici e di inserimenti figurativi che, dal basso in alto, si susseguono secondo un principio di ascensione dal mondo della natura a quello del cielo. I quattro piani di facciata risultano così decorati: al piano inferiore, fontane che rappresentano i fiumi della città antica (Oreto, Kemonia, Pannaria, Papireto); quindi, un ordine in stile dorico, contenente le allegorie dalle quattro stagioni (rappresentate da Eolo, Venere, Cerere e Bacco); l'ordine successivo, in stile ionico, ospita le statue di Carlo V, Filippo II, Filippo III e Filippo IV; infine, nell'ordine superiore, le quattro sante palermitane, Agata, Ninfa, Oliva e Cristina, patrone della città già prima dell'avvento di Santa Rosalia (1624) e di san Benedetto da San Fratello (1652).
Un antico detto che celebrava nei Quattro canti il centro virtuale di Palermo recitava "feste e forche a Piazza Villenalan" (pubbliche feste ed esecuzioni capitali).
Assunto nel 1606 il governo della città e dell'isola, il viceré, due anni dopo, affidò all'architetto fiorentino Giulio Lasso la sistemazione urbanistica della piazza, alla quale si lavorò per molti anni. Il progetto era ispirato al crocevia delle Quattro Fontane di Roma, disegnato dagli urbanisti di Papa Sisto V in forme molto più dimesse della successiva versione palermitana.

Nel 1609 doveva già essere terminata la parte strutturale dei due cantoni poi detti di Santa Ninfa e di Sant'Agata, che portano gli stemmi del viceré Vigliena. Nel 1612 era completo il cantone di Santa Cristina, aderente a San Giuseppe, promosso dal viceré Ossuna. Nel 1615 Giulio Lasso è già morto e dal 1617 è direttore dei lavori Mariano Smiriglio, ingegnere del Senato e già sorvegliante del cantiere durante la direzione del Lasso.
Con Mariano Smiriglio si assiste ad un cambiamento del programma decorativo iniziale: nell'ordine superiore, che in origine avrebbe dovuto ospitare le statue dei sovrani, vengono sistemate le statue delle quattro sante vergini palermitane: Santa Cristina, Santa Ninfa, Sant'Oliva e Sant'Agata. Dei quattro simulacri regali, previsti originariamente in bronzo, da Scipione Li Volsi, vengono eseguiti soltanto quelli di Carlo V d'Asburgo, poi collocato in piazza dei Bologna e quello di Filippo IV, un tempo posto sopra una macchina marmorea nel piano del Palazzo dei Normanni e poi distrutto. Le attuali statue in marmo presenti ai Quattro Canti furono scolpite fra il 1661 ed il 1663 da Carlo D'Aprile.
Il 2 agosto 1630 vennero appaltati i lavori per la fabbrica delle quattro fontane con le statue delle Quattro Stagioni, anch'esse previste in bronzo e poi realizzate in marmo: la Primavera e l'Estate furono realizzate da Gregorio Tedeschi; l'Autunno e l'Inverno da Nunzio La Mattina. Le attuali conche inferiori delle quattro fontane sono ottocentesche e furono realizzate per compensare il dislivello creatosi nel piano di calpestio della piazza che era stato ribassato a causa del livellamento della via. Il "Quinto Canto" che si vede su via Vittorio Emanuele ed è parte della facciata destra della Chiesa di San Giuseppe dei Teatini fu decorato nel 1844.
Fonte Wikipedia
PIAZZA PRETORIA
La fontana fu realizzata per il giardino di don Luigi Álvarez de Toledo y Osorio a Firenze, su un terreno ottenuto dalle suore del convento di San Domenico al Maglio nel 1551 dopo molte pressioni. Su questo terreno in seguito sarebbe stato costruito, a partire dal 1584, il palazzo di San Clemente ancora oggi esistente.
La realizzazione dell'insolito giardino, privo di un palazzo o di un edificio di rilievo, e della monumentale fontana furono commissionate da Pedro Álvarez allo scultore fiorentino Francesco Camilliani, allievo di Baccio Bandinelli, che vi lavorò a partire dal 1554. La fontana comprendeva 48 statue e aveva dimensioni inusuali, non essendo destinata ad uno spazio pubblico, ed era fronteggiata da una lunga pergola formata da 90 colonne di legno messe in opera sotto la sorveglianza di Bartolomeo Ammannati.
Spinto dai debiti ed in procinto di spostarsi a Napoli, don Luigi, grazie al fratello don García Álvarez, riuscì nel 1573 a vendere la fontana alla città di Palermo. Don Garçia, che era stato viceré di Sicilia, era in buoni rapporti con il Senato palermitano, che decise di acquistare la fontana e di collocarla nella piazza su cui prospetta il Palazzo Pretorio. Luis di Toledo, García Álvarez ed Eleonora di Toledo sono entrambi figli di Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga, vicerè di Napoli. Eleonora fu la prima moglie di Cosimo I de' Medici.
La fontana giunse a Palermo il 26 maggio 1574 smontata in 644 pezzi dei quali 112 imballati in 69 casse. Per far posto alla monumentale realizzazione, concepita per un luogo aperto, furono demolite diverse abitazioni. La fontana tuttavia non arrivò completa e alcune sculture si erano rovinate durante il trasporto, mentre altre forse furono trattenute dal proprietario. Tra queste sono da considerare probabilmente le due Divinità nel Museo del Bargello a Firenze, e altre statue che vennero collocate nel giardino privato di don Luigi a Napoli (che alla sua morte furono portate nel giardino del Palazzo di Sotofermoso di Abadía nella provincia di Cáceres, di proprietà della famiglia Toledo).
La fontana ruota attorno ad un bacino centrale circondato da quattro ponti di scalinate e da un recinto di balaustre, l'elevazione piramidale è costituita da tre vasche coassiali da cui prende l'avvio il gioco d'acqua, elemento versato dalla sommità da un Bacco, nella rimodulazione palermitana identificato col Genio di Palermo.
Il primo ordine dietro la cancellata è delimitato esternamente da una gradinata circolare e dalla balaustra interrotta da quattro varchi corrispondenti alle quattro rampe di scale balaustrate formate da nove gradini ciascuna, rampe disposte su assi ortogonali tra loro.
I varchi d'accesso esterni e le balaustre, a inizio e fine rampe, presentano coppie di personaggi mitologici o figure allegoriche collocate su piedistalli:
A Palermo furono quindi necessari alcuni adattamenti nella ricomposizione dei pezzi e ne vennero aggiunti altri.
La cura della ricomposizione e dell'adattamento della fontana fu affidata nel 1574 a Camillo Camilliani, figlio di Francesco, che ultimò i suoi interventi nel 1581, con l'aiuto di Michelangelo Naccherino.
Per tutto il XVIII secolo e parte del XIX secolo fu considerata una sorta di rappresentazione della corrotta municipalità cittadina, che vide in quelle immagini il riflesso e i personaggi discutibili del tempo. I palermitani soprannominarono la piazza, anche per la nudità delle statue, "piazza della Vergogna".
Nel novembre del 1998 fu intrapresa un'opera di restauro, che durò fino al novembre del 2003. A dicembre dello stesso anno la fontana è stata riaperta e successivamente è stata riattivata la circolazione dell'acqua
Piazza della Vergogna, come comunemente i palermitani chiamano Piazza Pretoria, deve il suo nome, non come si potrebbe credere alla nudità dei corpi, ma all’ingente somma di denaro che il Senato palermitano dovette sborsare, ventimila scudi (ottomila onze), per il suo acquisto. Dato il momento storico di miseria, epidemie e carestia di quegli anni, sembra che i palermitani gridassero quando uscivano dal palazzo i componenti del Senato : “Vergogna, Vergogna”
Fonte Wikipedia
CASTELLO DELLA ZISA
l Castello della Zisa risale al XII secolo, periodo della dominazione normanna in Sicilia.
Commissionato dal re Guglielmo I D'Altavilla per farne una sua residenza estiva, fu realizzato da architetti arabi. L'influsso della precedente dominazione, infatti, era ancora molto forte e i normanni, affascinati dalla cultura islamica, ne seguivano lo stile.
La dimora, il cui nome deriva dall'arabo al-Aziz, che significa glorioso, magnifico, sorgeva fuori le mura di Palermo, immersa nel verde del grande parco reale di caccia del Genoard. Del complesso facevano parte anche un edificio termale ed una cappella.
Terminato nel 1175, sotto il regno di Guglielmo II, il Castello ha subito, nel corso dei secoli, molte trasformazioni. Nel Trecento fu aggiunta una merlatura sacrificando parzialmente l'iscrizione araba che correva lungo la cornice dell'edificio, tuttora visibile nel muretto d'attico del Palazzo.
Al Seicento risale invece lo stemma in marmo di Don Giovanni di Sandoval raffigurante due leoni, posto sopra il fornice di ingresso. Venne anche aggiunto un grande scalone e modificati gli ambienti interni. Nel 1808 il Castello passò poi ai Notarbartolo, principi di Sciara.
Espropriato infine dalla Regione Sicilia nel 1955, e affidato al restauro del Prof. Giuseppe Caronia, dal 1991 il Castello ospita il Museo d'arte islamica con opere prodotte tra il IX e il XII secolo provenienti dai paesi del bacino del Mediterraneo, come le eleganti musciarabia, paraventi lignei a grata, un'interessante iscrizione cristiana in 4 lingue, ed utensili e arredi di uso comune realizzati in ottone, come anfore, candelabri e mortai impreziositi da fili in oro e argento.
Splendido esempio di arte arabo-normanna, il Castello della Zisa si presenta con una forma rettangolare che si sviluppa su tre piani, e all'esterno è diviso a metà da un canale che porta acqua a diverse vasche, riproduzione di quello più antico che recava acqua alla famosa Sala della Fontana.
La facciata è contraddistinta da tre grandi fornici ed una serie di arcate cieche. Sulla volta dell'ingresso sono dipinti alcuni diavoli che si dice custodiscano il tesoro dell'imperatore.
Il piano terra è occupato dal lungo vestibolo in cui si trova la sopracitata Sala della Fontana con ai lati le scale che portano ai piani superiori.
La Sala, sulle cui pareti sono visibili i resti degli affreschi seicenteschi dei Sandoval, ha pianta quadrata sormontata da una volta a crociera ogivale, e presenta agli angoli tre grandi nicchie incorniciate da semicupole decorate da muqarnas (decorazioni ad alveare).
L'ambiente, in cui il re riceveva la corte, risulta fresco grazie alla presenza della Fontana che reca una lastra marmorea decorata a chevrons, sormontata da un pannello a mosaico su fondo oro.
Il primo piano dell'edificio, più piccolo e chiuso all'esterno, era probabilmente destinato alle donne. Nel piano alto si apriva invece la finestra belvedere.
Tutto il Castello presenta canne di ventilazione e finestre sapientemente collocate per garantire un continuo flusso d'aria nelle torride giornate estive.
Raro esempio di costruzione arabo-normanna, il Castello della Zisa è una meta interessante per gli amanti della storia e dell'arte.
Fonrte: ItaliaParchi.it
PALAZZO DEI NORMANNI
Il Palazzo dei Normanni, noto anche come Palazzo Reale, si trova a Palermo ed è attualmente sede dell'Assemblea regionale siciliana. Il palazzo è la più antica residenza reale d'Europa, dimora dei sovrani del Regno di Sicilia, sede imperiale con Federico II e Corrado IV e dello storico Parlamento siciliano. Al primo piano del palazzo sorge la Cappella Palatina.
È uno dei monumenti più visitati nell'isola. I servizi aggiuntivi turistici sono curati dalla Fondazione Federico II; l'ingresso principale è su piazza del Parlamento, quello turistico e quello carraio sono su piazza Indipendenza.
Dal 3 luglio 2015 fa parte del Patrimonio dell'umanità (Unesco) nell'ambito del sito seriale "Palermo arabo-normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale".
L'attuale palazzo ingloba nelle fondamenta stratificazioni dei primi insediamenti fortificati d'origine fenicio - punica databili fra l'VIII e il V secolo a.C., le cui tracce riemergono nelle campagne di studi nelle segrete e nei sotterranei. Queste fortificazioni costituivano il nucleo sociale e politico dei primitivi insediamenti che formavano la paleopolis, aggregato contrapposto alla zona sacra, destinata al culto pagano e alle sepolture, ubicata qualche centinaio di metri più a NE a ridosso del fiume Papireto. Quest'ultima area, futura neapolis, è oggi identificabile col piano della cattedrale, il campanile ravvisabile nell'alta torre di avvistamento incastonata nella cinta muraria della cittadella fortificata, grotte, catacombe, cripte, cuniculi e spelonche, ubicati nelle immediate adiacenze.<
Paleopolis e neapolis erano comprese su una lunga penisola delimitata a settentrione dal fiume Papireto e dal Kemonia a mezzogiorno, striscia di terra che all'epoca si estendeva lungo direttrice configurabile con l'odierno Cassaro, limitata approssimativamente fino all'attuale chiesa di Sant'Antonio Abate. Una vasta e ramificata insenatura permetteva l'approdo e il riparo delle imbarcazioni in entrambi i corsi d'acqua, proprio a ridosso del polo monumentale, peculiarità che influì a determinare il nome della località, in epoca greca Panormos ovvero Città tutto Porto. Nel 254 a.C. la roccaforte del castrum fu conquistata dai romani.
Flavio Belisario conquistò la città e si impossessò della fortificazione nel 535, il dominio bizantino perdurò per quasi tre secoli. Sotto il regno di Costantino IX Monomaco, imperatore costantinopolitano e re di Sicilia, la fortificazione del kastron assunse il rango di palazzo con il prefetto Giorgio Maniace il quale lo abbellì facendo installare opere, manufatti e altro bottino di guerra.
I due arieti di bronzo, espressioni dell'arte greca e frutto di saccheggi, in Sicilia adornarono temporaneamente il portale gotico della Fortezza Maniace di Siracusa per volere di Federico II di Svevia. Maria di Trastámara per servigi resi nella strenua difesa di Siracusa, li donò a Giovanni I Ventimiglia, pertanto i manufatti pervennero dapprima nel castello Ventimiglia di Castelbuono e in seguito posti a decoro del mausoleo di famiglia nella chiesa di San Francesco. Per contrasti con la casa regnante e la confisca dei beni, gli arieti dei Ventimiglia giunsero a Palermo. Gaspare Palermo documenta la loro presenza in epoche successive nel Palazzo Chiaramonte-Steri, nella fortezza di Castello a Mare, trafugati da un vicerè di Sicilia a Napoli, riconsegnati alle sale di Palazzo Regio.[4] Con la distruzione di un elemento della coppia durante la Rivoluzione siciliana del 1848, l'esemplare superstite, fu definitivamente trasferito nelle raccolte del Museo archeologico regionale «Antonio Salinas».
La prima costruzione con funzioni di residenza reale denominata 'al Qasr o Kasr è attribuita al periodo della dominazione islamica, lasso di tempo di circa due secoli ove si avvicendarono numerosi governatori o emiri appartenenti, nell'ordine, alle dinastie degli Aghlabidi, Fatimidi, Kalbiti. Nell'831 dopo la conquista araba della città il governatore, supremo comandante e principe di Sicilia denominò la costruzione Castelnuovo che si contrapponeva all'edificio ubicato in marina denominato Castellammare e al Castello di Maredolce nel Parco della Favara, quest'ultima dimora prediletta insieme a tutte le residenze e le strutture arabe insediate nella vicina Kalsa.
Ibn Hawqal documenta due medine o città murate contrapposte: il Qasr e la Kalsa. In mezzo, tre borghi satelliti tra loro separati e contigui corrispondenti al futuro rabato (Albergheria, Seralcadio, Conceria), descritto da Muhammad al-Idrisi in epoca normanna.
La decisione di trasferire la sede del governatore posta nel cuore della città murata della civitas superior in un luogo più sicuro e protetto militarmente, è fornita dalla tumultuosa sommossa popolare contro il governatore fatimita Salīm Ibn Rashid Al Kutāni, sedata nell'autunno del 937 con l'intervento militare di Khalil ibn Ishaq. Il nucleo aghlabida è abbandonato dopo aver identificato nei pressi del porto, nelle adiacenze dell'arsenale, la nuova sede della cittadella fortificata degli emiri fatimidi, molto più difendibile nella civitas inferior perché parzialmente protetta dal mare.
I sovrani Normanni distinguevano il Castrum superius o Palatium novum posto sull'altura dal Castrum inferius o Palatium vetus ubicato a valle, insediandosi al loro arrivo presso quest'ultimo già dimora della corte araba. Il Parcus Vetus indicava l'insediamento del centro di potere arabo, l'aggettivo Vetus (vecchio, antico, primitivo, vetusto) si estendeva tanto all'area, quanto alla dimora del primitivo accampamento. Accampamento divenuto residenza degli emiri e oggetto di conquista da parte delle armate normanne, che nell'assedio di Palermo piantarono nelle immediate adiacenze il loro campo base prima di sferrare gli attacchi alla Kalsa e al Cassaro fortificato. Infatti, dalla pianura alluvionale sud - orientale della costa, porta d'accesso alla città provenendo da est, contraddistinta dal Dattereto prossimo al fiume Oreto e al Castello di Yahya, partì la riconquista della città. Negli anni ampliarono e trasformarono l'edificio a monte dalle caratteristiche mediorientali in un centro complesso e polifunzionale che esprimeva tutta la potenza della monarchia, così realizzarono una struttura di edifici. Roberto il Guiscardo lo ingrandì dotandolo della Cappella di Gerusalemme, il gran Conte Ruggero edificò la Torre Greca, i quartieri per opifici e armigeri. Solo dopo la sua morte, la regina reggente Adelasia del Vasto e l'erede al trono si trasferirono da Messina, città che era servita da base ai Normanni per estendere il proprio dominio, a Palermo. Nella capitale gli Altavilla s'insediarono inizialmente nella residenza di Palazzo della Favara prima di trasferirsi nelle strutture del Palatium novum.
Nel 1132 Ruggero II di Sicilia costruì la parte mediana del palazzo, l'ampissimo appartamento che oggi prende il suo nome, ovvero quella porzione d'edificio precedentemente destinato a opificio della seta, la Cappella Palatina e la Torre Joharia. Il luogo di culto dedicato a San Pietro Apostolo soppiantò la primitiva moschea edificata sulle carceri e segrete del palazzo. Da Guglielmo I e Guglielmo II di Sicilia furono aggiunte le ali destinate ai servizi degli eunuchi, secondo l'usanza araba, gli appartamenti delle dame di corte, matrone, fanciulle, servitori, l'harem e nella parte settentrionale fu aggregato il «serraglio degli schiavi», le torri Pisana o di Santa Ninfa e Chirimbi. Coeva è la realizzazione della «Via Coperta», un camminamento protetto che dalla Torre Pisana e la Sala Verde attraverso la contrada della Guilla conduceva al primitivo Palazzo Arcivescovile con meta finale la cattedrale metropolitana primaziale della Santa Vergine Maria Assunta.
In questo lungo processo di trasformazione, l'antico Palazzo degli Emiri assunse la denominazione di Palazzo dei Normanni solo in tempi recenti, polo destinato ben presto a diventare il centro della cultura e dell'arte europea tra il XII e il XIII secolo. In questi sontuosi e raffinati ambienti, infatti, si sviluppò la più importante cultura europea dell'epoca: qui gli imperatori radunavano i più grandi scienziati e poeti, musicisti e pittori del tempo. All'interno del palazzo furono mantenuti gli opifici e i laboratori tessili per produrre manufatti di rara bellezza mantenendo la tradizione, le conoscenze, la cultura e il sapere introdotto dai dominatori orientali, la Zecca, i laboratori di oreficeria ed il Tiraz, l'opificio per la manifattura di stoffe preziose. Adiacente al regio palazzo sorgeva la Galca (l'anello), il quartiere regio che si sviluppava verso est racchiuso fra mura, ospitava edifici di vario tipo legati alla funzionalità della reggia.
Muhammad al-Idrisi nel 1150, Ibn Jubayr nel 1184, Ugo Falcando descrivono nelle loro opere le magnificenze e le vicende legate al palazzo. Il più rilevante degli episodi avvenuto negli anni 1160 - 1161 vede il Palazzo Reale teatro della rivolta dei baroni maturata in seguito alla congiura ordita da Matteo Bonello, durante la quale le sale della reggia furono saccheggiate e date alle fiamme con la distruzione di un insostituibile patrimonio librario e artistico.
Al 1194 risale il saccheggio della reggia voluto da Enrico VI di Svevia, il quale utilizzò cento muli per trasportare tutto l'oro e gli oggetti preziosi in essa custodita. Con gli Svevi fu sede delle Scienze e delle Lettere, elogiata da Dante Alighieri. Con Federico II di Svevia e il figlio Manfredi furono mantenute nel palazzo le attività di governo, amministrative e di cancelleria, mentre quelle letterarie furono distaccate a Palazzo della Favara, luogo deputato ad ospitare la scuola poetica siciliana.
Nel 1269 per il palazzo cominciò una fase di decadenza. Spoglio delle macchine da guerra, mostrò tutta la sua vulnerabilità durante i moti dei Vespri Siciliani culminati nel 1282 con le sommosse inserite nel contesto della Guerre del Vespro: il popolo palermitano in rivolta espugnò, depredandolo ancora una volta. Scacciati gli angioini, Pietro III d'Aragona si trasferì nel palazzo dimorandovi appena tre anni.
Dopo l'espulsione degli Angioini nel 1282, la dinastia aragonese propense nel dimorare allo Steri o Hosterium Magnum confiscato alla famiglia Chiaramonte. Fra gli aragonesi fu sede di Francesco II Ventimiglia, nominato signore perpetuo della capitale siciliana nel 1353. Il 16 febbraio 1361 s'insediò Federico IV d'Aragona, con i titoli di capitano e giustiziere, castellano del palazzo e di Castellammare. Risalgono al 1340 le prime notizie di guasti dovuti ad un rovinoso crollo che determinarono il progressivo spopolamento della reggia. Il sito non suscitava più particolare interesse per motivi logistici e di sicurezza, ad essa si preferiva la residenza di Castellammare. Il lento abbandono avvenne a partire dagli inizi del XV secolo, periodo in cui Palazzo Regio e strutture limitrofe furono utilizzati come cava da cui trarre materiale edilizio utilizzato per la costruzione di luoghi di culto o cimiteri.
Nonostante la pressoché totale devastazione, la cimatura e demolizione di alcune torri, il Palazzo Reale, pur mantenendo solo il suo ruolo difensivo non rimase disabitato, ma fu sede del Tribunale della Santa Inquisizione tra il 1513 e il 1553. Nel 1549 Tommaso Fazello offre un descrizione della situazione disastrosa in cui versava al punto che era possibile scorgere la Cappella Palatina attraverso le rovine.
Il palazzo tornò a occupare un ruolo importante nella seconda metà del XVI secolo quando i viceré spagnoli lo elessero a propria residenza, abbandonando il Palazzo Chiaramonte-Steri o Hosterium Magnum. Per contro il Tribunale dell'Inquisizione si trasferì nelle strutture di Castellammare. Furono poste in essere iniziative che modificarono radicalmente l'aspetto originario del complesso:
1517 Con l'avvicendamento al trono del Regno di Sicilia tra Ferdinando II d'Aragona dei Trastámara e Carlo V d'Asburgo è Ettore Pignatelli, conte e duca di Monteleone, il primo viceré ad insediarsi nel sito.
1536, Ferrante I Gonzaga, nell'ambito delle opere di potenziamento dell'intero sistema difensivo della città convocò l'ingegnere bergamasco Antonio Ferramolino che si era già occupato delle fortificazioni del Palazzo, ma è nel 1553, dopo il trasferimento allo Steri del Tribunale della Santa Inquisizione, che si iniziarono le demolizioni e le nuove costruzioni.
1550, Juan de Vega effettuò un primo restauro, fu predisposta la demolizione della Torre Rossa.
1560 Juan de la Cerda, IV duca di Medinaceli avviò i lavori per la costruzione del Salone del Parlamento, ambiente perfezionato da Francesco Ferdinando d'Avalos, VII marchese di Pescara.
1567, García Álvarez de Toledo y Osorio, predispose la risistemazione dei vani intorno alla chiesa, l'ampliamento delle scuderie, la costruzione di nuove stalle.
1580, Marcantonio Colonna, duca di Tagliacozzo (insediamento: 24 aprile 1577 - 1584), promosse la realizzazione del camminamento tra la reggia e Porta Nuova. Nel 1598, gli uffici per l'amministrazione della giustizia ordinaria Regia Magna Curia, furono trasferiti in questa sede provenienti da Palazzo Chiaramonte-Steri.
1600, Bernardino de Cardenas y Portugal, duca di Maqueda, realizzò il cortile porticato che ospitava la Deputazione del Regno istituita da Alfonso V d'Aragona.
1616, Juan Gaspar Fernández Pacheco y Zúñiga, V marchese di Vigliena, V duca d'Escalona definì la parte centrale dell'ala est dotandola di un elegante prospetto in stile rinascimentale e un patio interno.
1620 23 maggio, Francìsco Ruiz de Castro Andrade y Portugal, conte di Castro, VIII conte di Lemos e duca di Taurisano decretò la demolizione del tempio bizantino di Santa Maria dell'Itria detta «la Pinta» nel quadro di moderni sviluppi urbanistici e del potenziamento del sistema difensivo della reggia.
1637, Il presidente del Regno Luigi Moncada, duca di Montalto, adeguò l'antico deposito delle munizioni, trasformandolo in sala delle udienze estive del Parlamento,[19] arricchendolo d'affreschi, opere dei più celebrati artisti dell'epoca come Vincenzo La Barbera, Giuseppe Costantino, Pietro Novelli e Gerardo Astorino. Per tale motivo gli ambienti comunicanti assunsero la denominazione di Sala Duca di Montalto. Il cortile colonnato noto col nome di Galleria con la sede principale per i giudici e i presidenti della Gran Corte Civile e Criminale.
1648, Per ordine del cardinale Teodoro Trivulzio viceré di Sicilia e presidente del Regno, la chiesa della Pinta insieme alla chiesa di Santa Barbara la Soprana e chiesa di San Giovanni la Calca, furono abbattute per fare posto a due grossi bastioni posti a difesa del Palazzo Reale. Bastioni di San Pietro.
1649, Il cardinale Teodoro Trivulzio in seguito ai tumulti causati dalla rivolta antispagnola aggiunse due baluardi muniti d'artiglieria[20] perfezionati da Giovanni d'Austria nel 1650.
1696, Pedro Manuel Colón de Portugal dispose la copertura del camminamento tra reggia e Porta Nuova.
Gli appartamenti reali subiscono una ulteriore rimodulazione nel 1735 con Carlo III di Borbone che edificò la Scala Rossa, una scala monumentale posta presso il cortile colonnato del Duca di Maqueda. Venute meno le esigenze difensive è compiuta la riduzione o demolizione dei bastioni orientali per l'adeguamento della piazza al livello del Cassaro e altrove, la loro trasformazione in Giardini Pensili.
Anche i Borboni delle Due Sicilie con Ferdinando III fecero ristrutturare il Palazzo dei Normanni che visse la stagione di maggiore operosità, dopo la fase cinquecentesca, in virtù della permanenza della Corte Borbonica: infatti i sovrani, fuggiti con la conquista di Napoli da parte di Napoleone Bonaparte, si rifugiarono a Palermo. Il Salone del Parlamento fu adibito all'esposizione della preziosa Quadreria di Capodimonte e il monarca decise di fare affrescare nuovamente le pareti e la volta della sala, affinché il salone presentasse "... uno stile più elegante e più grandioso". Il ciclo di affreschi raffigurante l'Apoteosi di Ercole di Giuseppe Velasco sostituì La Maestà Regia, protettrice delle Scienze e delle Belle Arti commissionato da Francesco d'Aquino, principe di Caramanico nel 1787.
Altri interventi decorativi abbellirono le sale di rappresentanza, i corridoi degli appartamenti del re e della regina al piano nobile durante la loro permanenza stabile dal 1806 al 1815. In occasione dei moti rivoluzionari del 1848 furono abbattuti dal popolo in tumulto i bastioni di Santa Maria e San Michele, la dimora fu saccheggiata e fu distrutta gran parte del mobilio, arredi velocemente ripristinati.
Dopo l'Unità d'Italia fece parte dei beni del comando dei Corpi dell'Esercito e in occasione dell'esposizione nazionale del 1891 - 1892 furono rinnovati gli arredi degli appartamenti reali. Nel 1919 si delineò la possibilità di utilizzare il Palazzo come sede di accademie e nel 1923 fu destinato ad accogliere gli uffici della Soprintendenza ai monumenti, alcuni Istituti universitari, la Real Accademia di Scienze Lettere e Arti, la Biblioteca Filosofica, il Museo etnografico siciliano Giuseppe Pitrè, il Museo Nazionale e l'alloggio del Prefetto. Furono mantenuti per uso della casa reale alcuni appartamenti. Nel 1921 è stata acquisita la proprietà da parte del governo.
Negli anni '30 del '900 furono portati avanti dei restauri da parte del sovrintendente ai monumenti Francesco Valenti, poi proseguiti da Mario Guiotto, che hanno riportato in luce alcune strutture normanne.[21] Nel 1943 fu requisito dalle truppe alleate. Poco dopo la fine della seconda guerra mondiale nel 1946, ebbero inizio i primi saggi archeologici volti a comprendere l'eventuali preesistenze al palazzo, ovvero le stratificazioni di manufatti e insediamenti anteriori agli interventi arabi.
Nel 1947 gli enti che lo occupavano furono trasferiti in altri immobili e fu denominato Palazzo dei Normanni. Nel 1947, divenne sede dell'Assemblea Regionale Siciliana. Dal 1976 al 1981 furono eseguiti lavori di trasformazione in alcuni piani del palazzo, curati da Rosario La Duca. Dopo il terremoto del 2002 che ha danneggiato alcuni interni, sono stati effettuati dei restauri sugli affreschi di Sala d'Ercole.
Attualmente è la sede del Parlamento di Sicilia e dell'Osservatorio astronomico di Palermo, mentre l'ala di collegamento a porta Nuova è sede del Comiliter, Comando militare territoriale della Sicilia.
Fonte Wikipedia
CATACOMBA DI PORTA D'OSSUNA
Questi antichi complessi cimiteriali ipogei attestano il ruolo svolto dal Cristianesimo nella città di Palermo. L’ubicazione sotterranea testimonia, infatti, l’origine turbolenta della religione cristiana, accettata con l’editto di Costantino nel 313 d.C., ma di fatto professata liberamente solo nel 380, con l’editto di Tessalonica che renderà il Cristianesimo, durante l’impero romano, la religione ufficiale di Stato.Essi sorgevano nei pressi dei fiumi che, per via della presenza dell’acqua, rendeva la pietra duttile e di più facile lavorazione.
É, pertanto, errato pensare che esse fossero luoghi destinati a nascondiglio contro le persecuzioni romane, credenza dovuta alla presenza sotterranea e misterica della sepoltura. É reale, invece, che la sepoltura sotterranea garantiva sia una sorta di rispetto del culto e di chi lo praticava che un istinto di auto-conservazione verso i trapassati.
La catacomba di Porta D’Ossuna, scoperta nel 1739 durante i lavori di costruzione del Convento delle Cappuccinelle, si trova a Nord-Ovest della depressione naturale del Papireto. L’ingresso attuale, in Corso Alberto Amedeo 110, è decorato da un sobrio portale realizzato sotto il regno di Ferdinando I di Borbone, come si legge nell’iscrizione posta a coronamento dell’architrave. Questo ingresso è postumo; quello originale, che presentava una doppia rampa gradinata, era a Sud-Ovest della catacomba, esattamente sulla via Pierpaolo Pasolini.
Oltrepassando il portale d’ingresso, un vestibolo circolare realizzato anch’esso nel 1785, permette al visitatore una prima sosta. Qui alcune planimetrie e pannelli didattici, realizzate dal Prof. Amedeo Tullio, Ispettore per la Pontificia Commissione di Acheologia Sacra delle Catacombe della Sicilia Occidentale, permettono una più facile lettura del monumento.
Dalle mappe essa risulta più ampia di quanto è oggi visibile. L’iniziale costruzione cinquecentesca dei Bastioni delle Balate, visibili su Corso Alberto Amedeo, e le successive fabbricazioni in calcestruzzzo armato, hanno via via mutiliato l’antico ipogeo, le cui diramazioni giungevano sino all’attuale mercato del Capo. Anche gli ingressi alla catacomba, essendo essa un luogo pubblico e pertanto accessibile da chiunque, erano certamente di numero maggiore rispetto a quelli attuali.
Lungo i corridoi vi sono numerosi arcosoli, polisomi e cubicoli a trifora. Gli arcosoli sono sepolture incassate in nicchie con aperture ad arco; i polisomi, sono arcosoli con più archi e una disposizione a gradini atti ad accogliere più corpi; i cubicoli sono invece delle vere e proprie camere da letto a pianta quadrangolare con tre arcosoli detti a trifora. Sulle pareti vi sono inoltre numerosi loculi e incavi di piccole dimensioni: alcuni per accogliere corpi ed altri per allocare lucerne e offerte dei parenti.
Entrando nella catacomba l’organica distribuzione degli spazi, l’ampiezza degli ambulacri e la monumentalità dei cubicoli attirerà immediatamente l’attenzione del fruitore e delle fruitrici. L’impianto planimetrico della catacomba presenta, infatti, un Decumano dal quale dipartono una serie di gallerie, orientate in senso Nord-Ovest. All’incrocio degli assi si sviluppano, verso l’alto, alcuni lucernari che avevano, un tempo, lo scopo di garantire l’aerazione e la luce.
catacomba porta d'ossuna
Inoltre era consuetudine realizzare la catacomba sotto giardini ricchi di aromi e fiori, così da permettere l’ingresso di aria profumata. Il giardino, sotto cui è nascosta la catacomba, è visibile su via Pasolini anche se oggi versa in un totale stato di abbandono.
Altri loculi sono posti a terra lungo i corridoi della catacomba.
Le lastre tombali erano realizzate in malta e tegole di terracotta. Solo sporadicamente furono utilizzate lastre di marmo, difficili da reperire in Sicilia. Sulla lastra veniva inciso il nome del defunto, l’età e la data di morte. Spesso, però, a causa dell’analfabetizzazione e della scarsa illuminazione, che rendeva ardua la lettura, le epigrafi erano simbolicamente abbellite con corredi funerari, composti da oggetti di uso comune del defunto – come utensili, attrezzi o bamboline in terracotta per le bambine – che avevano il preciso scopo funzionale di rendere riconoscibile la tomba.
Del corredo funerario presente nella catacomba di Porta d’Ossuna non è rimasto quasi nulla, solo un’iscrizione riferita ad una bambina, rinvenuta nel XVIII secolo e oggi custodita all’inetrno del Museo Archeologico Regionale “Antono Salinas”. Lo stato di abbondono (circa 1300 anni), i ripetuti trafugamenti, causati dalla non curanza, il deterioramento climatico dettato dalla forte umidità e le spoliazioni eseguito durante i secoli passati – come per le presunte lastre di marmo, poste a chiusura, che venivano anticamente riutilizzate, per la realizzazione di successivi edifici che per la creazione della calce – hanno del tutto distrutto ogni altra traccia di corredo funerario.
L’umidità del luogo ha inoltre spazzato via l’intonaco. Solo all’interno di un cubicolo rimane, inspiegabilmente visto la forte umidità, qualche traccia di color bianco e di colore rosso. Era usanza, infatti, quella di decorare i cubicoli con delle immagini cristologiche e simboliche, come pesci, pavoni, fenici e l’immagini del buon pastore.
La stanza del Refrigerium, che consrva ancora il particolare basamento o mensa trapezoidale, si trova a sud-ovest del monumento, esattamente a sinistra dell’antico ingresso principale su via Pierpaolo Pasolini.
La catacomba non era, infatti, un luogo di culto ma un luogo pubblico, dove i parenti pregavano e ricordavano il caro estinto. Questi riti, che prevedevano anche la consumazione di pasti, si svolgevano in questi luoghi di sosta, che erano corredati da pozzi per attingere l’acqua, triclini e mense in pietra come appoggio per consumare i banchetti.I riti del Refrigerium, contenuti nel culto dei morti tipico delle società antiche, prevedevano una serie di atti rituali svolti dai parenti in ricorrenze prestabilite per ricordare e onorare la memoria del defunto o del martire. Il rito si collega all’uso pagano che prevedeva il ristoro dell’anima, per la sua beatitudine eterna e la sua intercessione (refrigerare, nel senso di dare sollievo e ristoro fisico e spirituale).
Nei pressi del Refrigerium è visibile un butto, adesso tompagnato. I butti erano degli pozzetti ipogei atti a ricevere ogni genere di avanzo della vita domestica, da frammenti di terracotta a ossa animali e fossili: dei veri e propri immondezzai del tempo, che risultano ancora oggi di grande utilità, soprattutto per gli archeologi, al fine di studiare e scoprire le usanza dei tempi.
I butti presentano la particolare forma ad imbuto con la bocca stretta come un pozzo, come quello presente nella catacomba, e sorgono spesso su cavità preesistenti, come pozzi prosciugati e cave ad imbuto.
Durante i bombardamenti della II Guerra Mondiale, le catacombe accolsero, numerosi sfollati che, come attestano le fotografie dell’Archivio Scafidi, utilizzarono impropriamente la catacomba come ricovero antiaerei.
Sulle sponde dell’antico fiume Kemonia, sotto la chiesa di San Michele Arcangelo sorge la catacomba di San Michele Arcangelo che tratteremo nel prossimo articolo.
Claudia Fucarino
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Fonte: PALERMO VIVA
PONTE AMMIRAGLIO
Fu completato intorno al 1131 per volere di Giorgio d'Antiochia, ammiraglio del re Ruggero II di Sicilia, un anno dopo la nascita del Regno di Sicilia, per collegare la città (divenuta capitale) ai giardini posti al di là del fiume Oreto. Ancor oggi nella piazza, denominata Scaffa, rappresenta un monumento simbolo del collegamento tra il centro della città e la zona periferica Brancaccio.
L'uso degli archi molto acuti caratteristici permetteva al ponte di sopportare carichi elevatissimi; interessante anche l'apertura d'archi minori tra le spalle di quelli grandi per alleggerire la struttura e la pressione del fiume sottostante. Il ponte infatti resistette senza problemi persino alla terribile Alluvione di Palermo del febbraio 1931.
Il 27 maggio dell'anno 1860, nel corso della spedizione dei Mille, Garibaldi proprio su questo ponte e nella vicina via di Porta Termini si scontrò con le truppe dei Borboni, lì schierate perché il ponte era un ingresso nella città per chi veniva da mezzogiorno: Garibaldi proveniva infatti dal Monte Grifone, e precisamente dalla frazione di Gibilrossa. Lo scontro al ponte dell'Ammiraglio provocò l'insurrezione di Palermo.
Ora sotto gli archi del ponte normanno non scorre più il fiume, dopo che il suo corso fu deviato nel 1938, a causa dei suoi continui straripamenti. Questo ha anche consentito l'allargamento del Corso dei Mille. Sotto il ponte dell'Ammiraglio oggi si trova un giardino, con attorno viali alberati, agavi e altre varietà di piante grasse.
Il ponte ha ottenuto un incremento di presenze turistiche con l'inaugurazione del tram di Palermo: infatti il ponte con la piazza omonima sono divenuti una delle principali fermate del percorso della linea 1.
Dal 3 luglio 2015 fa parte del Patrimonio dell'umanità (Unesco) nell'ambito dell'"Itinerario Palermo arabo-normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale".